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La Nuova Venezia
di Virginia Baradel




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Domus pictae 2.0 Dove il colore non fa più paura - Liberata dalla clandestinità, dilaga nel mondo la Street art è illusionismo urbano promosso anche dalle neuroscienze


di Virginia Baradel


Ecco: «Questa è arte fatta in segreto per la gente. È arte che si suppone non debba esistere. È un’arte messa laddove tutti possono vederla. È un’arte estremamente bella per mostrare quanto buone potrebbero essere le cose».
Così scriveva nel 1980, il Leone d’oro Jenny Holzer nei manifesti che affiggeva nottetempo sui muri di Soho. In quegli anni, il fenomeno dell’arte pubblica clandestina divampava a NY, portando sopra l’asfalto e sui treni le intemperanze creative degli artisti underground, i figli più estremisti di Andy Warhol. È nato così, a muso duro, senza riserve, dannatamente “low” e “out”, il Graffitismo di Basquiat e Haring, di A-One e Rammellzee. Negli anni, il primitivismo metropolitano disinnescò la rabbia, dilagò anche in Europa e divenne Street art. La firma in codice è “tag” e quando essa diventa motore stilistico da cui sprigiona l’intero murale, i “graffitisti” diventano “writers” e la clandestinità sempre più un ricordo.
Certo, ancora oggi qualcuno agisce furtivamente, di notte e in luoghi non assegnati, firma con l’irruenza espressiva della sua cifra qualche luogo monumentale proibito e viene denunciato, come è accaduto sul ponte di Rialto a Venezia o nel centro storico di Bologna. Ma i writers, oggi come oggi, sono diventati un’eccellente risorsa sociale, invitati a dipingere e dunque a trasformare in lussureggianti fantasie il degrado e l’anonimato delle periferie. Festival, riviste, concorsi, gallerie o spazi deputati completano il quadro dell’odierno muralismo.
Sta accadendo ovunque nel mondo ed anche in Italia. Il Veneto non sfigura: a Padova, a Mestre e Vicenza vi sono situazioni di punta, come i gruppi Ologram e Urban-code che hanno organizzato il più importante evento del campo, l’International Graffiti Meeting of Styles al parco Albanese della Bissuola dal 2008 al 2011 (nel 2012 a Perpignan in Francia, nel 2013 a Mainz in Germania e nel 2014 a Milano). I graffiti urbani, dai muri alle fermate ferroviarie, dai sottopassi alle saracinesche, si stanno propagando nelle città, non più di contrabbando ma richiesti da assessori e commercianti. Il contesto è favorevole. Nessuno ha più paura del colore, nemmeno gli architetti che includono esterni colorati in opere pubbliche e nuovi condomini.
Le frontiere delle neuroscienze applicate all’estetica hanno legittimato il concetto che il colore, dispiegato in forme buone, porta sollievo. Alcuni ospedali (come lo storico Sant’Anna di Torino, in collaborazione con il Castello di Rivoli) hanno trasformato in prati fioriti e mondi di fantasia, scale, sale d’attesa, reparti. Se aggiungiamo il quoziente artistico investito nei cibi da chef non più subalterni agli artisti patentati che utilizzano sostanze alimentari al posto di pennelli (come Janine Antoni e i suoi busti di cioccolato cui una golosa visitatrice morse il naso alla Biennale del 1993), comprendiamo come l’arte stia dilagando nel quotidiano, si stia mettendo sempre più in gioco nel mondo reale.
Aprire mondi e teatri colorati su muri grigi e scrostati è la punta di diamante, la versione odierna dell’illusionismo degli affreschi urbani delle domus pictae. L’esempio più eclatante, dopo quello ormai datato e più politico di Berlino, è la rinascita epidermica di Lisbona: writers di tutto il mondo hanno trasfigurato muri e facciate, cavalcavia e gallerie urbane. Il degrado rimane dentro, ma almeno fuori può concorrere di diritto al Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto e rendere meno deprimente la scena pubblica.
È un’arte che nasce scenografica, destinata a nobilitare sconci urbani. Che si tratti di un nuovo tipo di arte sociale appare, allo stesso tempo, come un titolo e come un rischio. Talento, invenzione, ingegnosità, unicità stanno dalla parte dell’arte; mentre il prevalere di clichè e di effetti speciali rischiano di accreditare il fenomeno come una forma, benché ottima, di decorazione. Anche così, tuttavia, magari non comparirà nella classifica annuale di Art Review, ma gioverà a un miglior vivere essendo pur sempre “un’arte estremamente bella per mostrare quanto buone potrebbero essere le cose”.


Articolo su: La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, Il Corriere delle Alpi.


Writers con licenza di colorare: a Padova 6mila bombolette per cancellare il grigio in periferia

Articolo di Barbara Ganz


Cultura Commestibile n°43, articolo di Laura Monaldi





Il Quotidiano della Basilicata, 11 gennaio 2014



Su OraZero. Fukushima Water. Japanese Radioactive Food.


Su OraZero:


Street Art come strumento per rendere consapevoli le persone sulle problematiche esistenti e che spesso fingiamo di non vedere. Massimo Mion ci presenta una vera opera street: FUKUSHIMA WATER, impossibile non guardare alla realtà.

 

Perché l’acqua di Fukushima?
La tragedia di Fukushima, oltre ai danni immediati causati dallo tsunami, ha fatto si che siano state riversate in mare enormi quantità di acqua contaminata da radiazioni.
Secondo quanto riportato dalle più importanti testate giornalistiche, per recente ammissione dei tecnici della Tepco (Tokyo Electric Power Company, società che gestisce l’impianto), vengono riversate ogni giorno in mare 300 tonnellate di acqua contaminata.
Questo dato allarmante, passato purtroppo sotto silenzio, mi ha fatto riflettere su un lavoro che evidenzi tale problema.
"Ho pensato quindi ad una ipotetica acqua minerale prodotta a Fukushima in cui le caratteristiche di radioattività non vengono nascoste ma, anzi, dichiarate in etichetta come se fossero un valore aggiunto.

FUKUSHIMA SPARKLING WATER , di Massimo Mion

Il simbolo dell’ipotetica marca è un atomo e tra i “nutrition facts” sono evidenziati i livelli di radioattività ben oltre la soglia limite.
Sono ovviamente anche presenti il divieto di riciclo e la dichiarazione che il prodotto non è bio.
Per dare maggiore enfasi alla radioattività ho inserito dei piccoli led rossi all’interno delle bottiglie per generare una fluorescenza artificiale una volta che la bottiglia viene lasciata al buio."

Il prossimo progetto: FUKUSHIMA HAPPY HOUR

In questo lavoro il maki è stato scelto proprio perché viene preparato utilizzando le alghe che sono costantemente a contatto con acqua radioattiva, oltre al fatto che per noi rappresenta un simbolo della cucina giapponese.
Quindi può accadere, come in questo caso, che i problemi che cerchiamo di non vedere si ripresentino a noi sotto forma di pietanza.
Ironia della sorte.

 FUKUSHIMA HAPPY HOUR ON OFF, DI MASSIMO MION




La Nuova del Sud



Il Quotidiano della Basilicata, 3 dicembre 2013

 
 Intervista su OraZero


Intervista su OraZero.


La Sicilia



L'Urban Art di Massimo Mion

Scritto da Guendalina Sabba

BIG-BAD-WOLFBig bad wolf di Massimo Mion
L'Urban Art nasce negli Stati Uniti agli inizi degli anni Settanta da un fenomeno artistico denominato Graffitismo che continua ancora oggi ad essere uno degli aspetti più caratteristici delle aree metropolitane di tutto il mondo.
Le rappresentazioni iniziali non sono altro che delle scritte, delle tag, ovvero le firme degli autori o delle crew che per un bisogno di autoaffermazione o di protesta decidono di rivendicare un diritto o un'area d'appartenenza nei ghetti newyorkesi.
Ben presto quest'arte si trasforma in un fenomeno alla moda, da seguire ed imitare e mentre alcuni, ancora oggi, continuano a considerarla solo una forma di vandalismo, l'Urban Art riceve consensi da parte di critici e intellettuali che vedono in questi disegni un'originale forma d'arte portatrice di grandi contenuti sociali.
Keith Haring, Jean Michel Basquiat, Banksy, sono solo alcuni dei nomi più celebri che hanno fatto e che continuano a fare dell'arte di strada un vero e proprio manifesto alla libertà d'espressione.

Oggi molti artisti hanno scelto l'Urban Art per esercitare la loro creatività, uno di questi porta il nome di Massimo Mion, fotografo e writer veneziano, un'eccellenza tutta made in Italy che abbiamo intervistato per voi.
 
Chi è Massimo Mion?
Di professione ingegnere, veneziano, classe 1974, mi occupo di edilizia e manutenzione. Nel tempo libero, invece, mi sono dedicato per diversi anni alla fotografia sia in camera oscura che in digitale e, solo di recente, sono approdato alla Street Art.

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Massimo Mion al lavoro
Come avviene la tua formazione artistica e come comincia quest'avventura nel mondo della Street Art?
E' iniziato per gioco poco più di un anno fa. Mi hanno regalato due barattoli di vernice ed ho pensato che sarebbe stato divertente fare il mio autoritratto con la tecnica degli stencil. Il risultato è stato buono al primo tentativo e così ho deciso di continuare a sperimentare nuovi soggetti ed a perfezionare la tecnica. Avendo ottenuto interessanti riscontri in breve tempo, ho fatto degli stencil il mio hobby principale ed, ormai, irrinunciabile.
I tuoi lavori sono di una comprensione semplice e immediata ma il procedimento artistico non sembra altrettanto facile. Spiegaci come nasce una tua opera.
Dipende innanzitutto dal tipo di risultato che voglio ottenere. Quando il quadro vuole avere un contenuto prevalentemente "artistico", parto realizzando degli scatti fotografici che rielaboro poi in un bozzetto a scala ridotta. In questi lavori il taglio fotografico è evidente, e penso che la tecnica degli stencil sia un valore aggiunto rispetto allo scatto iniziale di partenza.
In generale la tecnica prevede la scomposizione della bozza iniziale in chiazze di colore elementari. Una volta perfezionata la bozza, vengono disegnati e ritagliati a mano gli stencils su fogli di cartoncino. Ogni stencil risulta così associato ad un preciso colore e ad un preciso ordine progressivo di utilizzo. Procedendo in maniera ordinata si dipingono le zone ritagliate degli stencil con la vernice acrilica. Si procede quindi a destrutturare il soggetto iniziale permettendo all'occhio dello spettatore la ricostruzione dei dettagli. Quanto più ci si allontana dal soggetto tanto più lo stesso appare ricco di sfumature. L'obiettivo è quello di stimolare il processo di percezione dell'osservatore invitandolo a riflettere sul rapporto tra significante e significato. Quando invece il lavoro è incentrato sull'"ironia", rifletto sul modo in cui vengono percepiti normalmente i vari soggetti e le diverse situazioni, cercando di ribaltare il punto di vista. In tutti i casi cerco di trasmettere il messaggio con immediatezza e senza troppi fronzoli. In questo mi viene in aiuto la tecnica degli stencil, per la quale vale la regola "less is more".
C'è un tuo lavoro al quale sei particolarmente affezionato? Qual è?
Ogni lavoro ha per me un significato particolare e, in un certo senso, unico. Forse però Pizza, realizzato presso Urban Contest, è uno di quelli più interessanti. Al di là del soggetto divertente e scanzonato, questo lavoro vuole essere anche una riflessione critica sulla nostra nazione. L'Italia, che viene spesso sminuita attraverso il binomio "pizza e mandolino", mai come in questo periodo è stata in balia delle agenzie di rating internazionali, pronte a "sezionarla" in maniera asettica ed impersonale. Ad ogni modo si tratta di una rappresentazione allegorica di buon auspicio: gli unici colori presenti sono proprio quelli della pizza e della tovaglia, che rappresentano la tradizione della cucina italiana.
PIZZA

Pizza di Massimo Mion
In Big Bad Wolf, (la mia preferita) contrariamente a quanto è scritto nella fiaba, raffiguri Cappuccetto Rosso seduta accanto ad un lupo mansueto e dormiente. Come è nata l'idea di sovvertire l'immagine collettiva del lupo cattivo con quella di un lupo calmo e inoffensivo?
Ho partecipato ad un concorso a Milano per la realizzazione di un murale avente come tema principale "la bontà dei sentimenti". Con un tema di questo tipo il rischio principale è la retorica. Mi sono proposto pertanto di esprimere questo concetto in maniera originale. L'idea di fondo in Big Bad Wolf è che l'osservatore non può dirsi sicuro che il lupo sia realmente mansueto. Potrebbe essere semplicemente addormentato e non essersi nemmeno accorto della presenza di cappuccetto rosso. L'atmosfera risulta però talmente naturale da risultare convincente. La pacata contemplazione di cappuccetto nei confronti del lupo, però, fuga ogni dubbio.
Durante l'Urban Contest 2012, svoltosi l'estate scorsa a Roma, hai raffigurato un ratto stilizzato con la scritta "Sorry. I'm not Banksy". Ecco, che ne pensi di questo street artist che ha fatto dell'arte dello stencil la sua carta vincente e lo ha reso famoso in tutto il mondo?
Banksy mi ha fatto scoprire le potenzialità degli stencil come strumento artistico ma, al di là della moda che ha generato, penso che sia un grandissimo artista. Ogni suo lavoro è denso di significati. Riesce ad essere sempre molto incisivo trattando i temi del sociale in maniera originale senza mai diventare esplicitamente "politico".
ALLA-FINESTRA-I

Alla finestra di Massimo Mion
Ci sono altri artisti nel panorama internazionale contemporaneo che hanno attirato la tua attenzione e/o ammirazione?
Ce ne sono moltissimi. Tra i più interessanti: Terry Border e Fra.Biancoshock.
Progetti futuri?
Trovare un bel muro in una zona centrale di una grande città per dare sfogo alla creatività senza alcun vincolo.


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Puntata di EFFETTI PERSONALI su La7 puntata del 11/02/2013 al minuto 6:44 con Francesca Senette.

Citazioni on the web



Le citazioni online di Big Bad Wolf

Meg (Maria Di Donna) ex 99 Posse




Ohibò Kasba ARCI



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