Giulia Jurinich


Il misticismo Urban Pop di Massimo Mion



Può l’urban art, conosciuta ai più per la sua aggressiva irriverenza, divenire spirituale? Può l’arte contemporanea italiana ritrovare il misticismo insito in molte opere dei grandi Maestri del Passato? Può l’antico dialogare con il moderno trovando in esso nuova forza e nuova luce?
Queste sono le domande che, spesso, l’uomo di oggi si pone davanti all’arte contemporanea, ed a queste domande sembra aver dato una risposta la temporanea Sindoni. Fabric Portraits dell’eclettico street artist Massimo Mion.
Spazio Kanz a San Giacomo, Venezia, diviene sede privilegiata per assistere alla messa in scena del misticismo urban pop dell’artista, una quieta irriverenza che riesce a catturare il visitatore attraverso i giochi di luce che invadono lo spazio espositivo.
Se l’installazione principale che fornisce il nome all’intera esibizione, e suo punto focale, basa la sua stessa esistenza sul concetto di sindone, ovvero tessuto impiegato nell’antichità per avvolgere i corpi dei defunti, le altre opere in mostra forniscono il fil rouge necessario per comprendere la temporanea: la rielaborazione giocosa di light art e la ritualizzazione del passato in modo che quest’ultimo possa essere nuovamente visto e apprezzato, secondo modalità ascrivibili in parte al dadaismo e alla pop art americana.
Osservando da vicino l’opera Sindoni. Fabric Portraits è possibile cogliere al meglio il motivo per cui tale mostra possa inserirsi all’interno di questa nuova denominazione di misticismo urban pop.
Qui la vernice che solitamente l’artista usa per dar vita allo stencil viene sostituita dalla luce che attraversa le stratificazioni dei supporti tessili, dando vita ad uno stencil materico e luminoso che riflette da un lato la duplicità dell’individuo femminile nella storia, dall’altro il dualismo insito nella stessa pratica della street art.
La portata dell’opera si nota nella sua sottile irriverenza; quando parliamo di sindone, l’immaginario comune va a collocarsi nella celebre sindone di Cristo a Torino, una sacra reliquia che fissa il corpo di Gesù. In questo caso le stoffe immortalano volti di diverse donne in altrettante diverse espressioni facciali; il tessile non è più elemento nobile di per sé, ma diventa tale poiché reso arte attraverso il contino mutare di luce ed ombra che ricorda alcune ricerche caravaggesche.
Il continuo gioco luminoso, l’incessante mutare dello spegnersi e dell’accendersi diviene, inoltre, metafora non solo della vita umana in generale ma anche della sua sfera emotiva: quel tentativo di spegnere ricordi o persone che in realtà non vanno mai via del tutto, ma ritornano come bagliori improvvisi nella nostra vita.
Lo stesso concetto di luce ed ombra, del resto sembra essere all’origine della street art, che da sempre basa la sua esistenza tra legale ed illegale, tra la notte nella quale gli artisti colorano la città, e il giorno momento nel quale la loro opera diviene pubblica e visibile a tutti.
Per tali motivi, la mostra di Massimo Mion, diviene un momento di interessante fervore artistico, espressione di come l’arte non abbia e non debba avere classificazioni e barriere di sorta, ma che per riaccendersi debba dialogare con tutto ciò che ci circonda in maniera innovativa.

Giulia Jurinich


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